LA CORTE D'APPELLO 
    Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento  civile  in
grado d'appello rubricato al numero di Ruolo Generale sopra  indicato
e vertente tra Giuseppe Marchesi e Rina Lampugnani,  rappresentati  e
difesi in causa dall'avv.  Gian  Piero  Geminiani,  ed  elettivamente
domiciliati  presso  lo  studio  di  quest'ultimo,  in  Milano,   via
Rugabella n. 1, in forza di procura rilasciata in calce alla comparsa
di costituzione con nuovo difensore in  appello,  appellanti  e  avv.
Rosangela Sirellini, rappresentata e difesa in causa  dagli  avvocati
Elena Ardissone e Marco Branzoli ed elettivamente domiciliata  presso
lo studio di quest'ultimo, in Milano, via Bonvensin De La Riva n.  9,
in forza  di  procura  rilasciata  in  calce  alla  copia  notificata
dell'atto di citazione d'appello, appellata. 
                          Rilevato in fatto 
    Con atto notificato  in  data  4  maggio  2004,  i  sigg.ri  Rina
Lampugnani  e  Giuseppe  Marchesi  citarono  in  giudizio  avanti  al
tribunale  di  Pavia  l'avvocato  Rosangela   Sirellini,   proponendo
opposizione avverso il decreto ingiuntivo  n.  120/2004  con  cui  il
giudice designato del  predetto  tribunale  aveva  loro  ingiunto  il
pagamento   dell'importo   di   €    9.531,65    a    favore    della
convenuta-opposta, a titolo di compenso professionale per l'attivita'
difensiva svolta  da  quest'ultima  in  loro  favore  in  un  diverso
procedimento civile. 
    Gli opponenti affermavano, a sostegno  dell'opposizione,  che  la
parcella azionata  dall'avv.  Sirellini,  che  li  aveva  difesi  nel
giudizio introdotto nei loro confronti dalla societa' FIN.CE.  S.r.l.
(avente ad oggetto la reintegra  nel  possesso  di  una  striscia  di
terreno), era stata erroneamente calcolata  sul  presupposto  che  la
causa  fosse  di  valore  indeterminato;  al  contrario,  secondo  la
prospettazione   degli   opponenti,   il   terreno   oggetto    della
contestazione aveva il ben determinato valore di € 1.032,91,  con  la
conseguenza che il difensore avrebbe dovuto essere remunerato tenendo
conto di tale valore,  e  quindi  con  un  importo  considerevolmente
inferiore a quello richiesto. 
    La  convenuta-opposta  si  costitui'  in  giudizio  eccependo  la
tardivita'  ed  improcedibilita'  dell'opposizione;   evidenzio'   in
particolare,  a  questo  riguardo,  che  la  notifica   del   decreto
ingiuntivo si era perfezionata ai sensi dell'art. 140 c.p.c. in  data
22 marzo 2004, mentre l'atto di opposizione era stato notificato solo
il 4 maggio 2004, e cioe' oltre il prescritto termine decadenziale di
quaranta giorni. 
    Con sentenza n. 580/2005 pronunciata in data 28 luglio 2005  -  9
settembre 2005, il tribunale di Pavia, ritenendo fondata  l'eccezione
della convenuta, dichiaro' improcedibile  l'opposizione  e  condanno'
gli opponenti a  rifondere  le  spese  di  lite  sostenute  dall'avv.
Sirellini. 
    La motivazione sulla cui base  il  tribunale  e'  giunto  a  tale
conclusione si sviluppa attraverso i seguenti passaggi argomentativi: 
        «Dalla  documentazione  prodotta   dalla   difesa   dell'avv.
Sirellini si evince che il decreto ingiuntivo fu notificato ai  sensi
dell'art. 140 c.p.c. in data 22 marzo 2004, giorno in cui l'ufficiale
giudiziario, eseguito il deposito presso la casa comunale  e  affisso
l'avviso  alla  porta  dell'abitazione,   invio'   ai   debitori   la
raccomandata  con  avviso  di  ricevimento  contenente  l'avviso  del
prescritto deposito; tale atto fu ricevuto dagli opponenti in data 30
marzo 2004. La giurisprudenza della S.C. e'  costante  nell'affermare
che: 
          ''La notificazione eseguita a norma dell'art. 140 c.p.c. si
perfeziona quando  l'ufficiale  giudiziario,  a  completamento  delle
altre formalita', abbia spedito la  raccomandata  con  la  quale  da'
notizia degli estremi dell'atto, mentre resta irrilevante la consegna
di detta raccomandata'' (per tutte Cass. 20 novembre 2000, n.  14986,
Cass. 27 giugno 1994, n. 6187, Cass. sez.  un  13  gennaio  2005,  n.
458). La sentenza della Corte costituzionale n. 477 del  26  novembre
2002,  citata  dagli   opponenti   ha   dichiarato   l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 149 c.p.c. e dell'art. 4, terzo comma, legge
n. 890/1982 (...). La sopra descritta norma,  cosi'  come  modificata
dal Giudice delle leggi, non e' applicabile al caso di specie perche'
il decreto ingiuntivo non e' stato notificato ai  sensi  degli  artt.
149 c.p.c. e 4 legge n. 890/1982, bensi' ai sensi dell'ad. 140 c.p.c.
La notifica, pertanto, e' perfezionata anche per il destinatario alla
data de! 22 marzo 2004; l'atto  di  opposizione  notificato  a  mezzo
posta e consegnato agli ufficiali giudiziari in data 4  maggio  2004,
pertanto, e' tardivo; in assenza dei  presupposti  di  un'opposizione
tardive, peraltro non proposta, l'opposizione deve essere  dichiarata
improcedibile». 
    Per la riforma di tale sentenza hanno interposto gravame avanti a
questa Corte d'appello i sigg.ri Giuseppe Marchesi e Rina  Lampugnani
con atto di citazione notificato in data 5 dicembre 2005. 
    Essi hanno articolato un unico motivo  d'impugnativa,  censurando
l'opinione del tribunale, secondo cui la notifica effettuata ai sensi
dell'art. 140 c.p.c. prenderebbe data, (anche)  per  il  destinatario
della stessa, dal momento in cui l'ufficiale giudiziario,  dopo  aver
eseguito il deposito dell'atto da notificare presso la casa  comunale
ed aver affisso il  prescritto  avviso  alla  porta  dell'abitazione,
spedisce ai notificatari la raccomandata con  avviso  di  ricevimento
contenente notizia dell'avvenuto deposito. 
    Secondo gli appellanti tale  assunto  non  reggerebbe  sotto  due
profili: 
        1) perche' il  tribunale  ha  mostrato  di  ritenere  che  la
notifica ex art. 140 c.p.c. prenderebbe data per entrambe le parti  -
il notificante e il destinatario - da un unico  momento,  coincidente
con  l'ultimo  momento  dell'iter  notificatorio  (spedizione   della
raccomandata), in tal modo disapplicando il  principio  di  scissione
soggettiva del momento perfezionativo del procedimento  notificatorio
affermato dalla nota sentenza della Corte costituzionale n.  477  del
26 novembre 2002, poi confermata anche dalla successiva ordinanza  n.
117 del 12 marzo 2004, essendosi  precisato  con  tali  pronunce  che
nell'ordinamento processuale civile,  fra  le  norme  generali  sulla
notificazione degli atti, risulta ormai presente il principio secondo
il  quale  il  momento  in  cui  la  notifica  si  deve   considerare
perfezionata per il notificante deve distinguersi da  quello  in  cui
essa si perfeziona per il destinatario; 
        2) perche' non ha considerato che,  alla  luce  del  suddetto
principio, la data della notifica effettuata ex art. 140  c.p.c.  non
puo' che essere, per il  destinatario  della  stessa,  successiva  al
momento di spedizione della raccomandata, e coincidere o con la  data
in cui egli ritiri effettivamente il piego raccomandato,  o  con  una
data convenzionale pari a  quella  prevista  nella  contigua  materia
delle notifiche a mezzo posta (dieci giorni dalla data di  spedizione
della lettera raccomandata), e cio' per la necessita'  di  conformare
il procedimento ex art. 140 c.p.c. a quello - strutturalmente analogo
- previsto in materia di notifiche di atti giudiziari a  mezzo  posta
dall'art. 8 della legge n. 890 del 20 novembre 1982, come  modificato
dal d.l. n. 35/2005. 
    Con  riferimento  specifico  a  questo   secondo   profilo,   gli
appellanti evidenziano in particolare che, ai sensi del  citato  art.
8, quando l'agente postale non puo' recapitare il piego  postale  per
motivi analoghi a quelli che determinano -  quando  la  notifica  sia
fatta  dall'ufficiale  giudiziario  -  l'applicazione  dell'art.  140
c.p.c., deve anche lui inviare un avviso  in  busta  chiusa  a  mezzo
lettera raccomandata con avviso di' ricevimento,  e  in  tal  caso  -
secondo quanto prevede il quarto comma  della  predetta  norma  -  la
notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla  data  di
spedizione della lettera raccomandata ovvero dalla  data  del  ritiro
del piego, se anteriore. 
    Questa procedura,  dunque,  secondo  la  tesi  degli  impugnanti,
sarebbe strutturalmente simile, se non  proprio  identica,  a  quella
prevista dall'art. 140 c.p.c., con l'unica  differenza  che,  nell'un
caso, l'ufficiale  giudiziario  provvede  al  deposito  dell'atto  da
notificare presso la  casa  comunale,  mentre,  nell'altro,  l'agente
postale provvede al deposito del piego presso l'ufficio postale. 
    Cio' nondimeno l'art. 8 introdurrebbe una  regola  diversificata,
laddove attribuisce al destinatario dieci giorni di tempo utile dalla
spedizione della raccomandata per ritirare  l'atto  presso  l'ufficio
postale, senza che tale periodo  decorra  a  suo  svantaggio;  mentre
invece l'art. 140 c.p.c., nell'interpretazione della S.  Corte  fatta
propria dal tribunale, farebbe coincidere la data  della  notifica  -
per il  destinatario  -  con  la  stessa  data  di  spedizione  della
raccomandata. 
    Affermano quindi gli appellanti  che,  se  non  si  interpretasse
anche l'art. 140 c.p.c. come  norma  necessariamente  contenente  una
previsione analoga a quella del citato art. 8, nel senso di  ritenere
perfezionata la notifica  per  il  destinatario,  anche  in  caso  di
notifica ex art. 140 c.p.c., dopo dieci giorni dalla spedizione della
raccomandata (o dal  momento  del  ritiro  dell'atto,  se  anteriore)
anziche' gia' al momento della spedizione stessa,  il  fatto  che  il
destinatario di una notifica ex art. 140  non  possa  beneficiare  di
tale lasso di tempo di dieci giorni manifesterebbe una ingiustificata
dispanta' di  trattamento  con  conseguente  violazione  dell'art.  3
Cost.,  perche'   casi   identici   verrebbero   trattati   in   modo
ingiustificatamente diverso. 
    Nella previsione ditale evenienza, essi sollecitano dunque questa
Corte a sollevare incidente di costituzionalita'. 
    Nel procedimento d'impugnativa si e' costituita l'appellata  avv.
Rosangela Sirellini, resistendo al gravame. 
    La causa e' stata quindi trattenuta in decisione da questa  Corte
sulle conclusioni precisate all'udienza del 23 settembre 2008, previa
assegnazione - nei limiti temporali previsti dagli artt.  190  e  352
cod. proc. civ. - dei termini, rispettivamente, di  quarantacinque  e
di venti giorni per il deposito di comparse conclusionali  e  memorie
di replica. 
                         Ritenuto in diritto 
    1. -  Questa  Corte  in  effetti  dubita,  e  percio'  decide  di
sollevare la relativa questione di legittimita' costituzionale  cosi'
dando seguito alla richiesta svolta  al  riguardo  dagli  appellanti,
della conformita' a costituzione dell'art. 140 c.p.c., nella parte in
cui,  cosi'  come  interpretato  dalla  ormai  univoca   e   costante
giurisprudenza della S. Corte di cassazione (tanto da potersi parlare
in proposito di «diritto vivente»), fa decorrere  gli  effetti  della
notifica, per il  destinatario  della  stessa,  dal  momento  in  cui
l'ufficiale giudiziario, dopo aver eseguito il deposito dell'atto  da
notificare presso la casa comunale  ed  aver  affisso  il  prescritto
avviso alla  porta  dell'abitazione,  completa  l'iter  notificatorio
inviando al destinatario una raccomandata con avviso  di  ricevimento
contenente notizia dell'avvenuto deposito. 
    Il dubbio investe la suddetta norma anzitutto - e  principalmente
- in rapporto al principio di uguaglianza sancito nell'art.  3  della
Costituzione, per ingiustificata disparita' di  trattamento  rispetto
al  tertium   comparationis   costituito   dall'analoga   fattispecie
notificatoria prevista dall'art. 8 della legge 20 novembre  1982,  n.
890, come modificato  dal  d.l.  n.  35/2005,  laddove  questa  norma
prevede, al quarto comma, in relazione al  caso  in  cui  le  persone
abilitate a ricevere il piego in luogo del destinatario rifiutino  di
riceverlo,  ovvero  l'agente  postale  non  possa   recapitarlo   per
temporanea assenza del destinatario o  per  mancanza,  inidoneita'  o
assenza delle persone sopra menzionate, che il piego venga depositato
lo stesso giorno presso l'ufficio postale preposto  alla  consegna  o
presso una sua dipendenza, e che del tentativo di notifica del  piego
e del suo deposito presso l'ufficio  postale  o  una  sua  dipendenza
l'agente postale dia notizia al destinatario inviando  un  avviso  in
busta chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di  ricevimento,
puntualizzandosi che, in tale ipotesi, la  notificazione  si  ha  per
eseguita decorsi dieci giorni dalla data di spedizione della  lettera
raccomandata ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore. 
    Secondariamente il dubbio puo' porsi anche in relazione  all'art.
24 Cost. per la conseguente violazione  del  diritto  di  difesa  che
dalla detta diversa disciplina puo' conseguire in via differenziale a
danno del destinatario di una notifica ex art. 140 c.p.c. 
    2. - E' di solare evidenza che tale  questione  e'  rilevante  ai
fini del decidere in questo giudizio,  poiche'  in  esso  si  discute
proprio di quale sia la data di notifica  del  decreto  ingiuntivo  -
effettuata ex art.  140  c.p.c.  -  da  considerare  efficace  per  i
destinatari, attuali appellanti: laddove, seguendosi la tesi della S.
Corte,  fatta  propria  dal  tribunale,   secondo   cui   tale   data
coinciderebbe con il giorno in cui l'ufficiale  giudiziario  spedisce
al destinatario la raccomandata (nella  specie  il  22  marzo  2004),
l'opposizione dovrebbe nella specie considerarsi, come  gia'  opinato
dal tribunale, tardiva e quindi improcedibile, perche' proposta oltre
il termine decadenziale di quaranta giorni di cui all'art. 641, primo
comma, c.p.c. (l'atto di opposizione essendo stato notificato a mezzo
posta e consegnato agli ufficiali giudiziari in data 4 maggio  2004);
mentre, reputandosi che la data coincida con il giorno  di  effettivo
ritiro del piego (30 marzo 2004) o con il decorso  dei  dieci  giorni
successivi alla spedizione (1° gennaio 2004), l'opposizione monitoria
dovrebbe considerarsi tempestiva e quindi procedibile. 
    3. - Quanto al requisito della non manifesta  infondatezza  della
questione in  relazione  alla  segnalata  disparita'  di  trattamento
lesiva dell'art. 3 Cost., oltre che in  relazione  alla  compressione
del diritto di difesa lesiva dell'art. 24 Cost., esso puo'  ritenersi
sussistente alla luce delle seguenti considerazioni. 
    L'art. 140 c.p.c. e l'art. 8, legge 20  novembre  1982,  n.  890,
prevedono modalita' notificatorie al quanto  simili  in  presenza  di
analoghi presupposti di fatto. 
    In entrambi i casi, sia pure descritti nei due articoli  in  modo
letteralmente  non  identico,  la  notifica  non   puo'   effettuarsi
direttamente al destinatario, perche' questi  non  e'  reperibile  in
loco o perche' le persone abilitate a ricevere il piego in  luogo  di
lui rifiutano di riceverlo, ovvero perche' vi e'  temporanea  assenza
del destinatario o la mancanza, inidoneita' o assenza  delle  persone
sopra menzionate. 
    Ecco allora che, in un caso, quello di cui all'art.  140  c.p.c.,
l'ufficiale giudiziario deposita la  copia  dell'atto  da  notificare
nella casa del comune dove la notificazione deve  eseguirsi,  affigge
avviso  del  deposito  in  busta  chiusa  e  sigillata   alla   porta
dell'abitazione o dell'ufficio o  dell'azienda  del  destinatario,  e
gliene da'  notizia  per  raccomandata  con  avviso  di  ricevimento;
analogamente, nel caso di notifica  ex  art.  8  legge  n.  890/1982,
l'agente postale deposita il piego presso l'ufficio postale  preposto
alla consegna o  presso  una  sua  dipendenza,  e  del  tentativo  di
notifica del piego e del suo deposito presso l'ufficio postale o  una
sua dipendenza da' notizia al destinatario mediante avviso  in  busta
chiusa a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento. 
    In sostanza, l'unica vera differenza strutturale e' che,  nell'un
caso, l'ufficiale giudiziario provvede al deposito della copia presso
la casa comunale, mentre, nell'altro, l'agente  postale  provvede  al
deposito del piego presso l'ufficio postale (ove nel  primo  caso  e'
invece depositato solo l'avviso, in caso di assenza del  destinatario
al  momento  in  cui  avviene  il   tentativo   di   consegna   della
raccomandata). 
    Si tratta allora di verificare se questa differenza possa  ex  se
giustificare  l'operare  della  successiva  regola   differenziatrice
secondo cui solo nella notifica  postale  il  destinatario  ha  dieci
giorni di tempo dalla  spedizione  della  raccomandata  per  ritirare
l'atto presso l'ufficio postale, senza che tale periodo decorra a suo
svantaggio,  laddove  invece  l'art.  140   c.p.c.   -   secondo   la
tradizionale interpretazione di legittimita' - farebbe coincidere  la
data  della  notifica  con  la  stessa  data  di   spedizione   della
raccomandata. 
    Una tale verifica non puo' trascurare di segnalare brevemente  lo
sviluppo    che,    nell'ultimo    decennio,    ha     contrassegnato
l'interpretazione e  la  modificazione  legislativa  delle  norme  in
oggetto. 
    Giova  allora  anzitutto  rammentare  che  un  primo   importante
intervento si ebbe con la pronuncia della  Corte  cost.  n.  346  del
1998,  in  cui  la  Consulta   pose   in   rilievo   l'esistenza   di
un'ingiustificata disciplina discnminatoria a danno  del  destinatari
di notifiche a mezzo  posta  rispetto  ai  destinatari  di  notifiche
effettuate ai sensi dell'art. 140 c.p.c. 
    La  Corte  dichiaro'   -   tra   l'altro   -   costituzionalmente
illegittimo, per violazione degli artt.  3  e  24  Cost.,  l'art.  8,
secondo comma, della legge 20 novembre 1982, n. 890, nella  parte  in
cui non prevedeva che, in caso di rifiuto di ricevere il piego  o  di
firmare il registro di consegna da parte delle persone abilitate alla
ricezione ovvero in caso di mancato recapito per  temporanea  assenza
del destinatario o per mancanza, inidoneita' o assenza delle  persone
sopra menzionate, del compimento delle  formalita'  descritte  e  del
deposito del piego fosse data notizia al  destinatario  medesimo  con
raccomandata con avviso di ricevimento. 
    Il Giudice delle leggi pose a fondamento della sua  decisione  in
primo luogo la constatazione  secondo  cui,  «nel  sistema  delineato
dalla legge 20 novembre 1982, n. 890,  l'ufficiale  giudiziario  puo'
utilizzare il servizio postale per la notificazione di tutti gli atti
in materia civile, amministrativa e  penale,  salvo  che  l'autorita'
giudiziaria disponga, o la parte richieda, che la  notificazione  sia
eseguita personalmente (art. 1, primo comma).  In  materia  civile  e
amministrativa, inoltre, egli  deve  sempre  avvalersi  del  servizio
postale perle notificazioni da eseguirsi fuori del comune ove ha sede
l'ufficio, eccetto che la  parte  chieda  che  la  notificazione  sia
eseguita personalmente (art. 1, secondo comma).  Salva  la  richiesta
del  notificante  di   eseguire   la   notificazione   personalmente,
l'ufficiale giudiziario ha dunque la facolta' - e talvolta  l'obbligo
- di utilizzare il servizio postale». 
    Cio' premesso, rilevo' quindi che la diversita' di disciplina tra
le notificazioni  a  mezzo  posta  e  quelle  eseguite  personalmente
dall'ufficiale giudiziario non potesse  ne'  dovesse  comportare  una
menomazione delle garanzie del destinatario delle prime. Osservo'  in
particolare che, mentre l'art. 140 cod. proc. civ. imponeva ed impone
all'ufficiale giudiziario  di  dare  comunicazione  al  destinatario,
mediante raccomandata con avviso di ricevimento, del compimento delle
formalita' indicate, allo scopo di  garantire  che  il  notificatario
abbia un'effettiva possibilita' di conoscenza dell'avvenuto  deposito
dell'atto; una disposizione siffatta mancava invece nella  disciplina
censurata (ossia quella posta dal  citato  art.  8),  che,  pertanto,
risultava, al tempo stesso, priva di ragionevolezza  e  lesiva  della
possibilita' di conoscenza dell'atto da parte  del  notificatario  e,
quindi, del diritto di difesa costituzionalmente garantito,  perche':
«se rientra nella discrezionalita' del legislatore  la  conformazione
degli  istituti  processuali   e,   quindi,   la   disciplina   delle
notificazioni, un  limite  inderogabile  ditale  discrezionalita'  e'
rappresentato dal diritto di difesa del notificatario». 
    La Corte non manco' neppure di segnalare che:  «le  insufficienti
garanzie di conoscibilita'  che  presenta  per  il  notificatario  la
notificazione a  mezzo  del  servizio  postale  derivano,  in  ultima
analisi,  dalla  scelta  del  modo  di  notificazione  effettuata  da
soggetti,  l'ufficiale  giudiziario  e  il  notificante,   privi   di
qualsivoglia interesse alla conoscibilita'  dell'atto  da  parte  del
notificatario:  il  solo  notificante,   infatti,   puo'   richiedere
all'ufficiale giudiziario di effettuare la notifica personalmente  e,
qualora  cio'  non  faccia,  l'ufficiale  giudiziario  puo'   a   sua
discrezione, scegliere l'uno o l'altro modo di notificazione». 
    Per effetto della suddetta  sentenza  della  Consulta,  l'art.  8
della legge 20 novembre 1982, n. 890 e' stato dunque applicato,  fino
al 2005, come se prevedesse l'obbligo di invio della raccomandata  da
parte dell'agente postale. 
    Il legislatore, come s'e' detto, e' poi intervenuto  nel  2005  -
dando anche  specifica  attuazione  normativa  alla  pronuncia  della
Consulta -, cosi' modificando il citato art. 8, legge n. 890/1982 con
l'art. 2 del decreto-legge 14 marzo  2005,  n.  35,  convertito,  con
modificazioni, in legge 14 maggio 2005, n. 80 («Disposizioni  urgenti
nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale  e
territoriale»). 
    A seguito ditale modifica la norma prevede ora che (comma 2)  «se
le persone abilitate a ricevere il piego, in luogo del  destinatario,
rifiutano  di  riceverlo,  ovvero  se  l'agente  postale   non   puo'
recapitano per temporanea assenza del destinatario  o  per  mancanza,
inidoneita' o assenza delle persone sopra  menzionate,  il  piego  e'
depositato lo stesso giorno presso l'ufficio  postale  preposto  alla
consegna o presso una sua dipendenza. Del tentativo di  notifica  del
piego  e  del  suo  deposito  presso  l'ufficio  postale  o  una  sua
dipendenza e'  data  notizia  al  destinatario,  a  cura  dell'agente
postale preposto alla consegna, mediante avviso  in  busta  chiusa  a
mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento che, in caso  di
assenza del destinatario, deve essere affisso alla  porta  d'ingresso
oppure immesso nella cassetta della  corrispondenza  dell'abitazione,
dell'ufficio o dell'azienda»; si aggiunge poi (al comma  4)  che  «la
notificazione si ha per eseguita decorsi dieci giorni dalla  data  di
spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo comma  ovvero
dalla data del ritiro del piego, se anteriore». 
    In tal modo, pero', com'e' agevole constatare, il legislatore non
si e' limitato a introdurre in modo espresso l'obbligo di  spedizione
della raccomandata, ma ha anche posto una regola  di  maggior  tutela
per il destinatario della notifica attraverso  la  fissazione  di  un
termine (massimo) di dieci giorni per il ritiro  del  piego,  termine
utile a far decorrere gli effetti della notifica per il  destinatario
stesso alfine  dello  svolgimento  di  ogni  ulteriore  e  successiva
attivita' processuale di suo interesse. 
    Pertanto, quanto alle notifiche di atti giudiziari a mezzo  posta
nei casi di assenza o rifiuto di cui all'art. 8, secondo comma, legge
n. 890/1982, il sistema - ormai  basato  sul  generale  principio  di
scissione soggettiva  del  momento  perfezionativo  del  procedimento
notificatorio (come cerziorato anche da Corte cost. 23  gennaio  2004
n. 28) - si completa in questo senso : per il notificante, a  seguito
della  sentenza  della  Corte  cost.  n.  477/2002,  la  notifica  si
perfeziona  comunque  al  momento   della   consegna   dell'atto   da
notificare; per il notificatario, si perfeziona decorsi dieci  giorni
dalla data di spedizione della lettera raccomandata di cui al secondo
comma ovvero dalla data del ritiro del piego, se anteriore. 
    Ne risulta, pero', un capovolgimento vero e proprio  rispetto  al
sistema precedente, in cui era l'art. 8 ad apprestare una  disciplina
meno garantista per il notificatario rispetto a quella  apprestata  -
in presenza di analoghi presupposti di fatto - dall'art. 140 c.p.c. 
    Ora,  infatti,  il  destinatario  di  una  notifica  di  un  atto
giudiziario a mezzo posta fruisce di  un  termine  comunque  maggiore
(fino ad un massimo di dieci giorni) rispetto a quello  di  cui  puo'
fruire il destinatario di una notifica ex art. 140 c.p.c. 
    Per la tradizionale,  costante,  consolidata  interpretazione  di
legittimita' dell'art. 140 c.p.c., infatti, la notifica si perfeziona
in questo caso, per il notificatario, gia' al momento  di  spedizione
della raccomandata. 
    Che  si  tratti  di  «diritto  vivente»  e'   stato   del   resto
riconosciuto finanche dalla stessa Corte cost. (con  la  sentenza  12
marzo 2004, n. 97), ne' puo' ritenersi il contrario solo perche' tale
interpretazione, che  prima  veniva  propugnava  dalla  5.  Corte  di
cassazione indifferentemente con riguardo agli effetti della notifica
ex art. 140 c.p.c. sia per il notificante che per  il  notificatario,
ora, a seguito della coerente applicazione del principio di scissione
soggettiva, continua ad  essere  affermata  solo  con  riguardo  agli
effetti della notifica per il destinatario. 
    Infatti la S. Corte di cassazione, anche in occasione  delle  sue
piu' recenti pronunce sul tema (anche successive a  Cass.,  S.U.,  n.
458 del 13 gennaio 2005; cfr. ad es. Cass., sez. 3, n.  3685  del  21
febbraio 2006;  ma,  indirettamente,  anche  Cass.  n.  23576  del  3
novembre 2006; Cass. n. 6218 del 16 marzo 2007; Cass., S.U.,  n.  627
del 14 gennaio 2008), con le quali  ha  riaffermato,  giustappunto  a
proposito  della  notifica  ex  art.  140  c.p.c.,  il  principio  di
scissione soggettiva  del  momento  perfezionativo  del  procedimento
notificatorio (che - secondo la tesi prospettata nel caso  di  specie
dagli appellanti - il giudice di primo grado non avrebbe comunque ben
compreso o applicato), ha precisato - e gia' dall'alto del  suo  piu'
alto consesso - che la notificazione ex art. 140  c.p.c.  deve  ormai
reputarsi eseguita, per il notificante, con la consegna dell'atto  da
notificare all'ufficiale giudiziario, ma, per il  destinatario,  come
si e' sempre reputato anche in passato, con il compimento dell'ultimo
degli  adempimenti  prescritti  (spedizione  della  raccomandata  con
avviso di ricevimento). 
    In tale contesto, l'unica  precisazione  aggiuntiva  fatta  dalla
S.C. a tutela del destinatario riguarda pur sempre gli effetti  della
notifica per il notificante. Essa, infatti, ha ritenuto di dover fare
salva in ogni caso la necessita'  che  l'avviso  di  ricevimento  sia
allegato all'atto notificato, poiche'  la  sua  mancanza  provoca  la
nullita' della notificazione  per  impossibilita'  di  accertare  che
questa sia effettivamente pervenuta al destinatario o nella sua sfera
di effettiva conoscibilita'; nullita'  che,  peraltro,  puo'  restare
sanata per  effetto  della  costituzione  del  destinatario  o  della
rinnovazione della notifica ai sensi dell'art. 291 cod. proc. civ. 
    Pur in presenza di  tale  specificazione,  la  S.  Corte  non  ha
ritenuto di poter trarre in  via  interpretativa  regole  di  maggior
tutela per il notificatario, continuando dunque  ad  opinare  che  la
data di notifica per quest'ultimo ancora debba coincidere con la data
di spedizione della raccomandata con avviso di ricevimento (e non con
la data di effettiva ricezione dell'atto da notificare o con una data
convenzionale comunque successiva alla spedizione). 
    Cio', si e' affermato, sarebbe conseguenza anche del fatto che la
data di notifica per il destinatario puo' avere  come  riferimento  i
variabili momenti volta a volta ritenuti idonei  dal  legislatore  ad
individuare  l'entrata  dell'atto  nella  sfera   di   conoscibilita'
«giuridica» del destinatario della notifica. 
    Esaminando quindi proprio la consimile fattispecie  notificatoria
disciplinata dall'art. 8 della legge 20 novembre  1982,  n.  890,  la
S.C. ha ritenuto che questa non possa  essere  applicata  anche  alla
raccomandata con la quale  l'ufficiale  giudiziario,  in  ipotesi  di
notifica a persona irreperibile, da'  notizia  del  compimento  delle
operazioni previste dall'art. 140 cod. proc. civ., ritenendo  che  le
modalita' di notificazione previste nell'articolo  140  c.p.c.  siano
appunto  autonomamente  idonee  a  porre  l'atto   nella   sfera   di
conoscibilita' del destinatario (Cass. 26  febbraio  2008,  n.  4959;
Cass. 15 giugno 2007, n. 13984; Cass.  21  febbraio  2006,  n.  3685;
Cass. 8 gennaio 2002, n. 131; Cass. 26 gennaio 2000, n. 857). 
    Il S. Collegio ha avuto anche modo di precisare  che  l'eventuale
diversita' di disciplina con altri tipi di notificazione come  quella
a mezzo posta puo' trovare obiettiva giustificazione nella diversita'
dei relativi presupposti, il che escluderebbe che l'art.  140  c.p.c.
si ponga in contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost.; ad  esempio,  nella
notificazione  a  mezzo  del  servizio  postale,  il  piego  che   e'
depositato presso l'ufficio postale ed  eventualmente  resti  ivi  in
giacenza per un tempo ritenuto non congruo dal giudice  delle  leggi,
contiene  l'atto  da  notificare,   mentre,   nell'ipotesi   prevista
dall'art. 140 cod. proc. civ., il piego in giacenza non contiene tale
atto, bensi' l'avviso che lo stesso  e'  depositato  presso  la  casa
comunale. 
    In effetti tale differenza sussiste, ma a  ben  vedere  e'  stata
posta in rilievo dalla S. Corte per escludere una lesione ai principi
costituzionali  di  uguaglianza  e   difesa   soprattutto,   se   non
esclusivamente, in relazione alla durata del tempo  di  giacenza  del
plico, e  non  in  relazione  alla  data  da  cui  dovrebbe  prendere
efficacia la notifica per il destinatario. 
    La S. Corte ha altresi' osservato che «la  Corte  costituzionale,
nel dichiarare l'illegittimita' dei commi secondo e terzo dell'art. 8
cit., ha avuto riguardo proprio alla notificazione di atti giudiziari
a mezzo del servizio postale (non ad altre attivita' cui la  relativa
disciplina potesse ritenersi estensibile),  ed  ha  ritenuto  che  la
tutela del diritto di difesa del destinatario della  notificazione  a
mezzo del servizio postale possa conseguirsi attraverso  le  medesime
garanzie gia' previste dall'ad. 140 c.p.c.  per  la  notificazione  a
mezzo di  ufficiale  giudiziario,  ossia  la  giacenza  dell'atto  da
notificare per un tempo non eccessivamente  limitato  e  l'avviso,  a
mezzo di lettera raccomandata, delle attivita' compiute. La procedura
di notifica prevista dall'art. 140 c.p.c. e',  dunque,  da  ritenersi
gia' idonea a garantire i diritti  del  notificatario,  al  punto  da
essere assunta dal giudice delle leggi quale modello per  altri  tipi
di notificazione» [enfasi qui aggiunta]. 
    Anche questo rilievo, tuttavia, se  serve  ad  escludere  che  la
disciplina dell'art. 140 c.p.c. sia intrinsecamente tale da collidere
tout coud  con  i  principi  costituzionali  specificamente  posti  a
presidio dei diritti difensivi  (ad  esempio,  sotto  il  profilo  di
un'eccessiva o incongrua brevita' del termine che puo'  residuare  al
destinatario della notifica per compiere successivi atti d'impulso  o
difesa, le volte in  cui  egli  venisse  concretamente  a  conoscenza
dell'atto da notificare diversi giorni dopo  la  data  di  spedizione
della raccomandata); e' ininfluente al fine di  valutare  il  profilo
della disparita' ingiustificata di disciplina che viene ora e qui  in
evidenza (in relazione al termine massimo di dieci giorni di cui puo'
disporre il notificatario) a seguito ed  in  ragione  della  modifica
apportata  all'art.  8  della  legge  n.  890/1982  dall'art.  2  del
decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35. 
    Tale specifico profilo discriminatorio non risulta sia mai  stato
espressamente esaminato dalla S. Corte,  e  per  la  verita'  nemmeno
dalla giurisprudenza di merito edita, tenuto conto che,  pur  essendo
stata  esaminata  ex  professo  la  problematica  in  oggetto  in  un
articolato precedente di primo grado (Trib. Genova 3  novembre  2005,
in D & G, 2006, 6, 19 e ss.; nonche' in Resp. Civ. e prev., 2006,  6,
1145),  con  tale  decisione  si  e'  piu'  specificamente   valutata
un'eventuale lesione del diritto di difesa contemplato  nell'art.  24
Cost. di cui potrebbe restare vittima il destinatario di una notifica
ex art. 140 c.p.c., piuttosto che, direttamente, l'eventuale  lesione
al principio di uguaglianza di cui all'art. 3 Cost. (anche se, per la
verita', tra le  pieghe  della  motivazione,  questo  profilo  sembra
comunque presente). 
    Sta peraltro di fatto che con  tale  pronuncia,  ritenutosi  che,
alla stregua della suddetta modifica normativa apportata dall'art.  2
del decreto-legge 14 marzo 2005 n. 35, l'art. 140 c.p.c. sia divenuto
oggi norma meno garantista per  il  destinatario  della  notifica  di
quanto non  lo  sia  l'art.  8  legge  n.  890/1982,  quel  tribunale
decidente  ha  ritenuto  possibile  pervenire  ad  un'interpretazione
costituzionalmente orientata (ex art. 24 Cost.) dell'art. 140  c.p.c.
applicando anche ad esso la regola, prevista dall'art. 8 cit., che fa
discendere il momento  perfezionativo  della  notificazione,  per  il
notitificatario, dal decorso del  decimo  giorno  dall'inoltro  della
prescritta  raccomandata,  o  dal  momento  anteriore   in   cui   il
destinatario abbia ritirato il plico. 
    Tale interpretazione e' stata pero' prospettata facendosi ricorso
all'interpretazione analogica sul  presupposto  -  che  questa  Corte
invece non condivide affatto - che l'art.  140  c.p.c.  presenti  una
lacuna quanto a determinazione del momento da cui la notifica  prende
efficacia per il destinatario. 
    Si tratta di  tesi  non  condivisibile  perche'  frontalmente  in
contrasto con l'esegesi consolidata della S. Corte, sopra  ricordata,
che interpreta l'art. 140 c.p.c. assumendo che, alla stregua del  suo
tenore letterale e logico, la data di notifica  per  il  destinatario
coincida con l'invio della raccomandata. Infatti, l'esistenza  stessa
di tale interpretazione  -  a  prescindere  dall'idea  che  si  possa
nutrire sulla sua fondatezza  -  configura  e  conforma  il  precetto
normativo in modo da escludere  che  sia  possibile  discettare,  sul
punto, di una vera e propria lacuna. 
    V'e'  anzi  da  aggiungere  che,  proprio  in  ragione  del  gia'
segnalato  carattere  costante  di  tale  interpretazione  (tale   da
renderla «diritto vivente»), affermata ancora ad oggi dalla S.  Corte
senza  alcuna  sensibile  variazione,  non  e'   comunque   possibile
prospettare direttamente una interpretazione difforme che si pretenda
costituzionalmente orientata, poiche' essa, per  quanto  giustificata
in astratto sulla base ditale profilo, finirebbe  verosimilmente  per
soccombere in caso di impugnativa di legittimita' della pronuncia che
l'affermasse al cospetto della suddetta interpretazione nomofilattica
consolidata. 
    La  soluzione  della  questione  di  l.c.  non  puo'  dunque  che
transitare attraverso il rilievo incidentale della stessa  e  la  sua
conseguente rimessione al vaglio della Consulta. 
    In  concreto,  come  si  e'  anticipato,   deve   ritenersi   non
manifestamente infondato il dubbio che l'art. 140 c.p.c. si ponga  in
contrasto con l'art. 3 della Costituzione, oltre che  con  l'art.  24
Cost., se non interpretato ed applicato in modo conforme  all'art.  8
della legge n. 890/1982. 
    Sembra infatti  probabile,  come  deducono  gli  appellanti,  che
laddove il destinatario  di  una  notifica  ex  art.  140  non  possa
beneficiare dei dieci giorni di tempo (massimo) previsti dall'art. 8,
quarto comma, della legge n. 890 del 20 novembre 1982,  si  manifesti
un'ingiustificata  disparita'   di   trattamento,   con   conseguente
violazione  dell'art.  3  Cost.,  perche'  casi  identici  verrebbero
trattati in modo ingiustificatamente diverso. 
    Di fatto, l'art. 8, quarto comma, dando un termine  (massimo)  di
dieci giorni per il ritiro del piego, elimina  in  radice  l'ingiusta
erosione del termine per svolgere le successive  attivita'  difensive
(come  nel  caso  di  specie  per  proporre  opposizione  a   decreto
ingiuntivo), riportando la situazione  di  garanzia  delle  parti  in
equilibrio: per un verso, lascia un tempo congruo al destinatario per
ritirare l'atto; mentre, per l'altro, non  rende  troppo  onerosa  la
notifica per il mittente, che, comunque, potra' dare  per  notificato
l'atto decorso il termine di dieci giorni. 
    Un  simile  effetto  non  e'  garantito  dall'art.  140   c.p.c.,
esponendo il destinatario di una notifica effettuata ai sensi di tale
norma  ad  un  trattamento  meno  garantista,  pur  in  presenza   di
presupposti di fatto analoghi, e per di piu' sulla base di una scelta
della tipologia di notifica che, come  gia'  segnalato  nella  citata
sentenza della Corte cost. n. 348/1998, viene effettuata,  di  norma,
«da soggetti, l'ufficiale giudiziario  e  il  notificante,  privi  di
qualsivoglia interesse alla conoscibilita'  dell'atto  da  parte  del
notificatario:  il  solo  notificante,   infatti,   puo'   richiedere
all'ufficiale giudiziario di effettuare la notifica personalmente  e,
qualora  cio'  non  faccia,  l'ufficiale  giudiziario  puo',  a   sua
discrezione, scegliere l'uno o l'altro modo di notificazione». 
    E'  quindi  evidente  che  proprio  il  controinteressato  potra'
scegliere di far effettuare una notifica ex art. 140 c.p.c.  privando
il notificatario della maggior garanzia costituita  dalla  disciplina
prevista dall'art. 8 legge n. 890/1982. 
    Questa evidenza sarebbe gia' di per se' sola idonea a  dimostrare
la non conformita' a costituzione della detta lettura  dell'art.  140
c.p.c.  a  prescindere   dalle   (comunque   secondarie)   differenze
strutturali dei due procedimenti notificatori a confronto, poiche' la
diversa allocazione del plico o dell'avviso (casa comunale o  ufficio
postale), o la piu' o meno indicativa serie di  notizie  fornite  ora
dall'ufficiale giudiziario  (ex  art.  40  disp.  att.  c.p.c.),  ora
dall'agente postale (ex  art.  8  legge  n.  890/1982),  non  possono
considerarsi fattori  in  grado  di  giustificare  una  differenziata
disciplina che discrimini la tutela del notificatario fino  al  punto
da provarlo del ridetto maggior termine per  rendersi  effettivamente
edotto dell'atto notificando, e cio' per di piu' sulla  base  di  una
scelta - in ordine al modo di effettuazione della notifica -  rimessa
all'unilaterale arbitrio ed interesse del notificante o, nel migliore
dei casi, dell'ufficiale giudiziario. 
    Si ripropone  dunque,  sia  pure  in  senso  inverso,  quel  fine
garantistico  gia'  segnalato  sotto  questo  profilo  dalla   citata
sentenza della Consulta n.  348/1998,  con  un  rilievo  direttamente
refluente nella sfera  dell'art.  3  Cost.,  ma  con  riflessi  anche
indiretti rispetto all'art. 24 Cost., nella misura  in  cui  e'  dato
comunque  ravvisare  un  difetto  differenziale  di  tutela  per   il
destinatario di una notifica  ex  art.  140  c.p.c.,  essendo  questi
costretto a presidiare con tendenziale continuita'  e  pervicacia  la
sua cassetta postale - come da piu' parti e' stato segnalato -  anche
in periodo di vacanza o ferie, per  evitare  il  rischio  di  perdere
tempo utile al compimento di attivita' difensive che prendano data  a
partire dall'avvenuta notifica, mentre molto meno rischiosa e onerosa
e' la situazione del destinatario di un notifica postale  ex  art.  8
legge n. 890/1982. 
    Deve inoltre segnalarsi che proprio la pronuncia della S. Corte a
S.U. n. 458 del 13 gennaio 2005, laddove fa salva  in  ogni  caso  la
necessita'  che  l'avviso  di  ricevimento  sia   allegato   all'atto
notificato (poiche' la sua mancanza provocherebbe la  nullita'  della
notificazione  per  impossibilita'  di  accertare  che   questa   sia
effettivamente  pervenuta  al  destinatario  o  nella  sua  sfera  di
effettiva conoscibilita') concorre a far emergere il predetto profilo
di inadeguata tutela difensiva. 
    Infatti, nel ritenere che la verifica da compiere  attraverso  la
fisica disponibilita' dell'avviso di ricevimento sia  «postulata  del
resto dalla stessa previsione normativa nel momento in  cui  richiede
che la spedizione  della  raccomandata  abbia  luogo  con  avviso  di
ricevimento», la stessa S. C. finisce  per  porre  implicitamente  in
evidenza, non importa se consapevolmente o meno, la necessita' di una
revisione del suo stesso orientamento, laddove continua ad  affermare
che per il  notificatario  la  notifica  ex  art.  140  c.p.c.  debba
continuare a prendere data dalla spedizione della raccomandata. 
    Non si  vede,  infatti,  che  senso  abbia  continuare  ancora  a
ritenere  che  l'art.  140  c.p.c.  presupponga  un'efficacia   della
notifica per il destinatario coincidente  con  tale  momento  pur  in
presenza della prescrizione normativa dell'invio di una  raccomandata
con avviso di ricevimento, avviso che sembrerebbe  tutt'al  contrario
esigere la consegna effettiva dell'atto. 
    Ma anche a voler ritenere che in questo caso possa ipotizzarsi un
meccanismo di formazione progressiva della fattispecie notificatoria,
anche in senso condizionale, analogo a quello  disegnato  dalla  S.C.
per il notificante (nel senso che la  notifica  possa  prendere  data
anche per il notificatario da  un  momento  anteriore  alla  consegna
materiale dell'atto o alla introduzione del medesimo nella sua  sfera
di effettiva conoscibilita'), non si vede per quale ragione  dovrebbe
antedatarsi  il  momento  dell'efficacia  della   notifica   per   il
destinatario solo ai fini dell'art. 140 c.p.c., in  palese  danno  di
quest'ultimo rispetto al destinatario di una notifica ex art. 8. 
    Inoltre, la S. Corte, come si e' visto sopra, ha  anche  ritenuto
di  escludere  I'incostituzionalita'   dell'art.   140   c.p.c.   sul
presupposto   della   sussistenza   di   differenze   di    struttura
procedimentale  rispetto  alla  fattispecie  notificatoria   di   cui
all'art. 8 legge n. 890/1982, e cio' perche' solo in caso di notifica
ex art. 140 c.p.c. verrebbe inviato al destinatario un avviso con cui
si da' notizia del tipo e contenuto dell'atto notificando (ex art. 48
disp. att. c.p.c.). 
    Si e' gia' osservato che una tale differenza e' stata prospettata
in relazione all'eventuale sospetto di costituzionalita' afferente al
tempo di giacenza del plico,  e  non  ai  fini  di  decorrenza  degli
effetti della notifica per il destinatario. 
    Ma deve ora aggiungersi che la stessa S. Corte, a  partire  dalla
pronuncia n. 458/2005, finisce per considerare irrilevante  anche  la
suddetta differenza strutturale. 
    Essa, infatti, anche se ha ritenuto che  per  il  notificante  la
notifica ex art. 140 c.p.c. prenda effetto  dalla  data  di  consegna
dell'atto  all'ufficiale   giudiziario,   ha   considerato   comunque
necessario che il  notificante,  esibendo  l'avviso  di  ricevimento,
ponga il Giudice nelle condizioni di verificare se l'atto  sia  stato
effettivamente   consegnato   al   destinatario   o   sia    comunque
convenientemente entrato nella sua sfera di  conoscibilita',  il  che
significa che nessun rilievo ha  piu'  la  circostanza  che  spedendo
l'avviso  ex  art.  140  c.p.c.  l'ufficiale  giudiziario  metta   il
notificatario  potenzialmente  in  grado  di  conoscere   la   natura
dell'atto notificando (il che non  avverrebbe  spedendo  l'avviso  ex
art. 8, legge n. 890/1982),  poiche'  cio'  che  conta,  nella  nuova
ricostruzione  interpretativa  della  S.  Corte,  e'  la   produzione
dell'avviso di ricevimento come strumento per  accertare  l'effettiva
conoscenza o conoscibilita' dell'atto. 
    Pertanto non vi e' piu' motivo di distinguere  le  due  forme  di
notifica in esame sulla base ad una differenza - la  possibilita'  di
immediata conoscenza dei dati salienti dell'atto da notificare per la
presenza delle indicazioni prescritte dall'art. 48 disp. att.  c.p.c.
- che non rileva comunque ai fini della decorrenza di efficacia della
notifica ex art. 140 c.p.c., ne'  per  il  notificante,  ne'  per  il
notificatario. 
    Mancano, in definitiva, motivi idonei a giustificare l'illustrata
disparita' di trattamento e di disciplina normativa. 
    E'  pertanto  conseguente  sollevare  questione  di  legittimita'
costituzionalita' in via incidentale dell'art. 140 c.p.c. letto  alla
luce dell'orientamento interpretativo della S. Corte  nel  senso  fin
qui rilevato, dovendo questo  ritenersi  disforme  rispetto  ai  gia'
detti parametri costituzionali di uguaglianza e di tutela del diritto
di difesa.